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Il Napoli non riesce a uscire da un periodo nero. Disamina (amara) del momento

E’ la seconda volta, dopo il Genoa, che non riesco a scrivere nell’immediato post partita, per commentare la gara degli azzurri.

Difficile esprimere pareri obiettivi a caldo e razionalizzare il momento, con lo sconforto e l’onta di un ulteriore passo falso, ancora una volta al San Paolo, contro un avversario di modesta caratura.

Difficile parlare di calcio in un momento così avaro di soddisfazioni e di pallone in senso stretto.

Difficile parlare di tattica, di giocate e raccontare, rivivendoli, i momenti della gara, della quale vorremmo resettare risultato e prestazione.

Ancora più arduo dare una spiegazione netta e logica a un periodo di crisi di risultati in Campionato, così roboante, al punto di vedere gli azzurri relegati al 7° posto con la zona Champions lontana 8 punti ed avversarie sulla carta inferiori che ci precedono in classifica, come le romane, ma finanche Atalanta e il sorprendente Cagliari di Maran (ben costruito in sede di mercato).

Alle difficoltà iniziali di gioco e prestazioni, altalenanti e poco rassicuranti, è seguito prima un periodo di scoramento della squadra post arbitraggio contro l’Atalanta, sfociato nella sconfitta dell’Olimpico (figlia anche della scelta del tecnico di schierare quasi lo stesso 11 che aveva pareggiato con i bergamaschi dopo dura lotta, con squadra stanca nel fisico e nel morale) e successivamente peggiorato in maniera netta dopo le note e amare vicende dell’abbandono del ritiro.

La non gara col Genoa e il “brodino” di San Siro erano state però attenuate dalla “miracolosa” tenuta difensiva di Anfield, che sulla carta poteva essere un buon viatico per riprendere la strada in Campionato, centrando finalmente un filotto di vittorie (le avversarie delle 5 partite a seguire erano, sempre sulla carta, più che abbordabili).

E invece un vero e proprio tonfo, inaspettato e non credibile all’inizio di stagione.

La storia si ripete, un Napoli mai vincente dopo la gara di Champions (solo a Lecce con ampissimo turnover, poi pareggi e brutte prestazioni contro Torino, Spal, Genoa e ora Bologna, che hanno portato 3 pareggi e una sconfitta deleteria).

La Champions di solito leva quasi a tutte dai 6 agli 8 punti, è sempre successo al Napoli e quest’anno anche alla Juve, l’Inter invece ne ha persi solo 4, di cui 3 nello scontro diretto e ha tenuto molto bene (restando anche in corsa per la qualificazione in un Girone anche difficile).

I punti persi sono addirittura 9, ma il Napoli è andato ben oltre , perdendo anche punti lontani dalle gare di Champions (in casa col Cagliari e all’Olimpico, oltre a quelli anche un pò figli della sfortuna e dell’arbitraggio contro Piemonte e Atalanta).

Non si vince da 10 gare. Una situazione nera, a dir poco.

Quando i risultati mancano per tanto tempo, non è mai facile raddrizzare la baracca, regna la confusione, figlia dell’insicurezza e della mancanza di certezze.

Purtroppo è in questi casi che, mancando anche automatismi di gioco in cui rifugiarti (considerando che l’idea di gioco, sempre presente a dir la verità, non è stata foriera di risultati e prestazioni all’altezza) non si riesce a venirne a capo.

Solo i risultati possono cambiare il destino e lo stato delle cose, senza quelli i problemi si acuiscono e la confusione aumenta, considerato che siamo a un punto di non ritorno.

Troppe sono state le occasioni sciupate per un rilancio in Campionato.

La situazione che il tifoso ha sperato migliorasse, è invece man mano peggiorata, in maniera quasi del tutto irrecuperabile.

Tanti i fattori che l’hanno determinata.

Da quelli di mercato, ossia della costruzione della rosa, da alcune scelte sbagliate di formazione e posizioni in campo da parte del tecnico, sino alla gestione della situazione collegata al ritiro (che ha incrinato ulteriormente qualche rapporto tra società e calciatori), senza tralasciare la posizione di alcuni calciatori e i troppi dubbi legati alle situazioni contrattuali e a casi (o presunti tali) che hanno riguardato Insigne (a più riprese), Callejon e Mertens, ma anche Milik, Ghoulam, Hysaj.

Senza dimenticare gli infortuni (e i torti arbitrali), le difficoltà di adattamento di Lozano e la giovane età di Elmas.

Dalla crisi si può uscire sono attraverso i risultati, ma anche questi non sono e non potranno essere figli del caso, ma delle prestazioni.

Non abbiamo la sfera di cristallo per prevedere quel che sarà, nè la presunzione di poter individuare una via maestra per raggiungere l’obiettivo, ma ancora la capacità di esaminare o individuare da dove ripartire.

LA POSIZIONE di ANCELOTTI

Il tecnico, esperto e scafato, da molti criticato “ab origine”e a prescindere perchè scelto dal Presidente, se l’anno scorso è stato bravo a mantenere il “carro per la scesa”dopo la fine del ciclo sarriano (pur rivelandosi molto aziendalista e poco attento in alcune scelte di costruzione della squadra), quest’anno non ha reso secondo le aspettative, naufragando in Campionato.

Una buonissima Champions, come lo scorso anno (sperando in un epilogo diverso che porti alla qualificazione, solo sfiorata la scorsa stagione), non poteva e non può bastare, perchè al di là della gloria e della (grande) soddisfazione, uscirvi l’anno prossimo è quanto di peggio possa accadere a una società come il Napoli, che vive dei risultati e degli introiti da questi dipendenti.

Uscire dalla Champions e ancor più dall’Europa (centrata negli ultimi 12 anni) sarebbe un salto nel vuoto e un taglio netto al progetto, già poco ambizioso per chi vorrebbe vincere a tutti i costi, ma basato su una crescita (molto) lenta a questo punto (o fai il salto o sei destinato a scendere di grado, lo dice la vita, spesso assimilabile alle dinamiche del pallone), ma costante.

Insomma un depauperamento di danari nel presente e nell’immediato futuro e, di conseguenza, anche di ambizioni.

Non solo il mancato incasso del danaro derivante dalle competizioni europee, ma anche e soprattutto il venir meno di prestigio e blasone, che giocoforza porterebbe all’abbandono dei giocatori bravi che abbiamo e alla mancata possibilità di essere una società appetibile da parte dei giocatori bravi in futuro, già talvolta restii ad approdare nel Golfo della sirena Partenope.

Molti non sono mai entrati in sintonia con Ancelotti e ne sono stati avversori più che semplici critici, obnubilati dal gioco sarriano (che abbiamo amato, ma che lasciamo alla storia), irripetibile (non solo a Napoli) e non da utilizzare come termine di paragone in una nuova realtà, a prescindere dalla nefandezze del momento.

La mancanza di risultati (che condizionano anche gioco e prestazioni, già deficitari) porta sempre allo sclero del tifoso anche in maniera smodata ed esagerata, ma questa escalation verso il baratro ne giustifica avvilimento, nervosismo e jastemme.

Chi non amava Ancelotti può adesso, a ben donde , dar sfogo a tutto il suo malessere, ma analizziamo il problema, ben sapendo che non possiamo dettarne la soluzione.

Quella più facile e scontata, perchè il calcio impone la regola del capro espiatorio, quando i risultati latitano, figuriamoci nella drammacità sportiva della situazione attuale, è il suo allontanamento, ma pone dei quesiti, perchè l’allontanamento di Ancelotti non potrà mai essere la panacea di tutti i mali, anche se potrebbe dare una scossa emotiva al gruppo e alla situazione, quella che per ora il tecnico non è riuscita a dare, dopo la mancanza di continuità (quella che si chiedeva e a cui si aspirava, è arrivata in negativo).

Ancelotti ha dichiarato a più riprese di essere in sintonia con gruppo e società e di essere in grado di uscire dal guado (non pensando mai alle dimissioni), ma sino ad ora non ci è riuscito, anzi la situazione è in continua evoluzione negativa.

Il Presidente non ha deciso di esonerarlo, si può pensare per ragioni economiche, ma non è da escludere che creda ancora nelle capacità dell’allenatore da lui scelto.

LE SCELTE di CAMPO

Il confronto con i giocatori è stato anche tecnico-tattico, come necessità impone, e col Bologna, almeno sino all’ingresso di Mertens e al passaggio al modulo sempre applicato, si è tornati al 4-3-3, per riportare alcuni giocatori nella posizione sulla carta congeniale (Elmas e Fabian hanno fatto il loro ruolo, le mezzeali, così come Insigne e Lozano gli esterni offensivi), ma ciò è stato limitato ( e lo sarà) dalla mancanza di un regista, o quantomeno di un metodista, oltre che dalle assenze.

Ricordiamo che il “peccato originale”dall’arrivo di Ancelotti, per quanto riguarda il 4-3-3, è stato credere di poterlo fare con Hamsik (e alternativa Diawara) alla Pirlo, o alla Jorginho, senza invece confermare i brasiliano o trovarne una valida alternativa.

Idea abbandonata dopo sole 3 giornate lo scorso anno, proprio per questo motivo.

Quest’anno, invece, non solo non si è nemmeno pensato al regista, ma nemmeno a un metodista e neppure a un vice Allan, rimanendo in maniera colpevole e poco lucida con 4 mezzeali, di cui 3 molto offensive e incapaci di fare filtro.

L’idea era quella di creare una squadra molto offensiva e tecnica, sopperendo alla mancanza di incontristi con il pressing, il baricentro alto e le linee strette, ma veramente in rarissime occasioni si è visto l’intento sul campo e si può candidamente ammettere che è stato soprattutto questo il problema del Napoli dal punto di vista tattico.

Ritornare adesso al 4-3-3, senza metodista e regista, sembra la decisione della disperazione, dettata più dalla voglia di responsabilizzare la squadra, che lo ha proposto e quasi invocato, che da una lucida disamina della situazione, che appare, al contrario, molto più confusa e destabilizzante.

Certo si potrebbe pensare di farlo per un mese sino a gennaio, per poi intervenire sul mercato, unica mossa che potrebbe dare un senso quantomeno abbozzato alla scelta.

Pensare di fare il 4-3-3 con Allan o Zielinski centrali, francamente, ci sembra un ulteriore obrobio di natura tattica. Piotr non lo può fare, non geometrie, nè capacità difensive (e di protezione della difesa), mentre Allan non ha minimamente le qualità tecniche e le geometrie necessarie.

Nella speranza di ritornare a vincere, almeno di garra e contropiede come fatto a Liverpool, si va a Udine ripartendo proprio dal quel ritiro, foriero di rotture e polemiche, altra contraddizione in termini.

Insomma possiamo solo restare spettatori degli eventi, con immutata Fede, ma con tanto scetticismo in più.

Da qua a gennaio servono i risultati, poi sarà il momento delle scelte, degli acquisti e delle decisioni, anche dolorose.

Sta di fatto che serve cambiare registro, vedremo se anche allenatore, modulo e alcuni uomini.

#FNS

 

 

 
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